In questa straordinaria storia a metterci del suo anche Ferruccio Muraca, il papà della via Francisca del Lucomagno e per Fabio e Paolo un angelo “custode”. Così, Ferruccio, ha iniziato a raccontare: «Sono passati 5 anni dal 12 novembre 2016, data che per molte persone può risultare irrilevante, insignificante o che non ricorda nulla… Ma per la Via Francisca, invece, questa data è un giorno molto molto importante, particolare e significativo.
Quel 12 novembre 2016, Fabio e Paolo, due pellegrini come molti altri, che desideravano vivere in modo particolare l’Anno Santo straordinario della Misericordia, arrivarono in piazza San Pietro a Roma. Cosa c’è di così particolare in questo avvenimento?
Quello che distingue Fabio e Paolo da tutti gli altri è il fatto che questi due pellegrini, per primi, hanno utilizzato la Via Francisca del Lucomagno per raggiungere Pavia e proseguire sulla Via Francigena fino a Roma. Un mattino di ottobre, alla buon ora, Fabio e Paolo sono usciti da casa a Lugano ed hanno raggiunto Lavena Ponte Tresa dove hanno iniziato a camminare sul percorso della Francisca che all’epoca era ben tracciato solo fino al Sacro Monte di Varese. Da questa località fino a Pavia, ogni sera io inviai loro, tramite sms, le indicazioni per proseguire il cammino lungo il tracciato della Francisca che però non era ancora segnato con i segnavia. Davo loro anche indicazioni stradali, il nome delle vie che dovevano percorrere, descrizione dei luoghi e degli incroci per proseguire il cammino, suggerimenti dove rifocillarsi e possibili accoglienze dove andare a riposare la notte. Quei giorni per me sono stati una stupenda esperienza che mi ha molto contrassegnato, che non dimenticherò mai.
Ancora oggi quando incontro dei pellegrini sulla Via mi premuro di sapere dove sono diretti, come trovano il percorso della Francisca e se hanno bisogno di indicazioni, suggerimenti per il loro cammino. Ho chiesto a Fabio, autore anche di un bellissimo libretto che riporta le riflessioni del loro pellegrinaggio verso Roma, a 5 anni della loro splendida esperienza di raccontarci brevemente il loro bellissimo pellegrinaggio perché possa suscitare nei nostri lettori interesse verso questa modalità di cammino e stimolare il desiderio di mettersi alla prova nella prossima stagione primaverile. Buona strada a tutti», ha concluso Ferruccio Muraca.
La storia raccontata attraverso gli occhi di Fabio e Paolo
Nell’autunno del 2014, freschi di pensionamento, siamo partiti a piedi da casa alla volta di Santiago. Due anni dopo, autunno 2016, partivamo per Roma. Due anni ancor più tardi, invece, varie faccende e difficoltà ci hanno trattenuto dal partire per Gerusalemme. E ancora ci trattengono. Ma non perdiamo la speranza.
Tre sono infatti i maggiori pellegrinaggi dell’Occidente cristiano. Così abbiamo scoperto, meditando lungo il cammino di Compostella. Uno è quello che segue il percorso del sole, verso Finisterre e l’Oceano sconfinato del Mistero. È il cammino verso occidente, nella direzione del futuro e del destino, dove san Giacomo, primo apostolo ad essere martirizzato, ci ha preceduti, e d’onde ci viene incontro per farsi abbracciare nella sua cattedrale di Santiago. Poi c’è la via nella direzione del sole alto di mezzogiorno, verso un testimone presente, l’attuale successore di Pietro. E infine c’è la strada verso oriente, dove sorge il sole e d’onde viene la luce. La strada verso l’origine: verso la Gerusalemme del sacrificio di Abramo e del tempio di Davide e Salomone, la Gerusalemme del sacrificio del Figlio di Davide e del tempio di pietre vive che da lì dilaga. E pure la Gerusalemme dell’ascensione di Maometto.
Se per giungere a Santiago abbiamo potuto seguire la Via Elvetica che raggiunge Ginevra per poi confluire nella Via Podense (cioè la via che dalla città di Le Puy, sul Massiccio Centrale, conduce a Roncisvalle, al di là dei Pirenei, per poi proseguire fino a Compostella), per dove incamminarci alla volta di Roma? Ci sono le vie dei Franchi, cioè delle popolazioni germanizzate al nord delle Alpi, che portano a Roma. Ma la Via Francigena divenuta classica è quella percorsa dal vescovo Sigerico di Canterbury e descritta nel suo celebre diario (X sec.): dalla città inglese attraversa la Manica e la Francia, supera le Alpi sul passo del Gran San Bernardo e scende fino a Pavia, per poi scavalcare gli Appennini per la Cisa e, attraverso Lucca, Siena e Viterbo, raggiungere la città eterna. E per noi che abitiamo a Lugano: come raggiungere Pavia? Il provvidenziale incontro con Ferruccio Maruca ci mette a conoscenza della cosiddetta Via Francisca, allora non ancora allestita, ma chiaramente disegnata nella mente del nostro interlocutore. Prima del tratto di sua competenza, da Ponte Tresa a Pavia, questo cammino lascia le sponde del Lago di Costanza per risalire la valle del Reno, oltrepassare le Alpi dal colle del Lucomagno e scendere alle rive del Ceresio. Forti delle indicazioni dateci dal nostro consulente prima della partenza, ma soprattutto dai suoi messaggi che via etere ci ragguagliavano quotidianamente sul percorso da seguire, siamo avanzati sicuri attraverso la periferia della megalopoli lombarda densamente popolata, evitano per quanto possibile traffico e gas di scarico. Assistiti da chi ormai chiamavamo il nostro “angelo custode”, abbiamo percorso la valle dell’Olona accanto al fiume, attraversato il Parco Alto Milanese, costeggiato i navigli per giungere al capoluogo pavese. Non senza aver ammirato un Sacro Monte sopra Varase, un’Abbazia Cistercense a Morimondo, un complesso monastico San Lanfranco alle porte di Pavia.
Il nostro angelo custode non ci ha però congedati sulle sponde del Ticino. Con un ritmo più rilassato ha continuato ad informarsi sul prosieguo del nostro cammino e sulle nostre condizioni psicofisiche, per fortuna sempre buone. Di fatto noi non eravamo solo i primi a sperimentare di filato il tratto lombardo dal confine svizzero a Pavia, ma eravamo anche i primi a proseguirlo sino alla meta finale.
La camminata è sempre stata piacevole: l’ospitalità accogliente, la lingua di comunicazione ci era familiare, la cucina squisita, i paesaggi ammirevoli, il tempo meteorologico tutto sommato clemente. Un autunno piovigginoso ci ha dapprima accompagnato fino a Lucca, obbligandoci anche ad un guado a piedi nudi e calzoni rimboccati sopra il ginocchio nella pianura padana. Da Lucca, dove ci hanno raggiunto le mogli per condividere il nostro pellegrinaggio nei loro dieci giorni di ferie, un sole splendido ci ha riscaldato salendo i dolci colli toscani fin oltre Siena, nella valle dell’Orcia. Alla partenza delle consorti però, vento o pioggia si sono scatenati e ci hanno fatti arrivare intirizziti dal freddo a Radicofani, l’avamposto toscano sul Lazio. Per risentire veramente caldo ho dovuto aspettare la piana antistante Viterbo ed immergermi nelle pozze termali del Bagnaccio.
Quanto a gustare la cucina, nelle sue saporite variazioni regionali, non ci sono stati problemi: l’appetito a mezzogiorno era buono dopo la camminata mattutina, e della linea non c’era da preoccuparsi: le calorie si bruciavano continuando a camminare. I menu del pellegrino non lesinano: memorabile quello di Fidenza, con antipasto, primo, secondo, dessert, caffè e grappino, il tutto annaffiato da del buon vino locale. Abbiamo potuto assaporarlo con tranquillità, attendendo l’apertura del bel duomo romanico alle 15.00.
Pure essendo aspetti collaterali, anche quelli culinari sono apprezzabili. Ancor più apprezzate sono state le accoglienze, alcune delle quali particolarmente significative: come quella presso la Comunità di Betania, a Costamezzana sulle pendici appenniniche; o come nel convento dei Francescani di San Miniato Alto, oggi gestito dal movimento Nuovi Orizzonti; o ancora nel monastero delle Benedettine di San Giminiano.
Marcanti sono stati gli incontri, i volti umani incontrati. Nel medioevo, andando a Roma, il pellegrino inseguiva il volto del Cristo, come ricorda Petrarca nel suo celebre sonetto:
e viene a Roma seguendo ‘l desio
per mirar le sembianze di Colui
ch’ancor lassù nel ciel vedere spera.
Ma oggi il panno con l’icona del Cristo non è più visibile. Sia che giaccia, ormai annerito e illeggibile, nel sacello del pilastro della Veronica, uno dei quattro che sostiene il cupolone; sia che abbia misteriosamente preso la via per Manoppello in Abruzzo, dove si può venerare un velo di bisso con l’effigie del Cristo nel Santuario del Volto Santo, a Roma di sicuro non lo si può più ammirare. Il che obbliga a cercare il suo Volto altrove, e a trovarlo evangelicamente nel volto del prossimo.
Quello del successore di Pietro innanzitutto, che possiamo vedere da vicino grazie al maxischermo istallato sul sagrato di San Pietro, da dove seguiamo la santa messa. Ma anche quello di coloro che lo attorniano, persone disadattate ed emarginate da lui invitate alla celebrazione domenicale. E quello di chi mi attornia: del compagno con cui mi sono incamminato, e quello di Sophie, pellegrina francese che, discesa dalle Alpi, abbiamo incontrata poco dopo Pavia. Con lei abbiamo proseguito, in modo intermittente, fino a Roma. Poi i volti di altri incontrati per via, come quello di un amico che non vedevo da più di vent’anni, e che nemmanco sapevo che si fosse trasferito a Roma: incontrato per caso entrando nell’urbe, ci invita a casa sua per farci conoscere la sua famiglia e offrirci uno spuntino. Infine i volti dei tanti pellegrini confluiti in Piazza San Pietro, variegati per etnie e lingue, che fanno percepire concretamente la cattolicità della Chiesa, alla lettera: “l’universalità della Convocazione”.
Era infatti quel 2016 l’Anno Santo straordinario della Misericordia, indetto dal Pontefice nel cinquantennio dalla conclusione del Vaticano II, e a Roma era stata aperta la Porta Santa. Partiti a metà ottobre dal Ticino, in un mesetto di cammino eravamo giunti sulla Piazza ellittica, in una tersa serata novembrina, con tanto di luna piena da una parte e stella della sera dall’altra. Ci siamo affrettati verso il sepolcro del primo fra gli apostoli e predecessore di papa Francesco, e la stringenza cristica del simbolismo della Porta ci ha sorpreso:
Stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita (Mt 7, 14). Io sono la porta. Se uno entra attraverso di me sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo (Gv 10, 9).
Cristo è la porta stretta che introduce alla larga misericordia divina, come ricordava la dicitura che affiancava la Porta Santa. E come ribadì il Papa all’indomani, nell’omelia: Di tutto quello che ammirate non resterà pietra su pietra (Lc 21, 6) diceva il Cristo a chi guardava meravigliato il grandioso tempio di Gerusalemme, meta dei pellegrinaggi ebraici. “Anche questa splendida basilica, commentava il Papa, potrebbe un giorno essere distrutta. Tutto passa, tranne Dio e il prossimo”. Tutto può venir meno, tranne ciò che ha volto, e che può chiedere ed esprimere amore misericordioso. La carità non avrà mai fine (1Cor 13, 8).